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Channel: Commenti a: Vicenza: la Storia dell’arte e il narcisismo di Marco Goldin.
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Di: Romeo Pio Cristofori

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Cara Caterina,
purtroppo la mia lingua biforcuta e mai stanca, mi spinge a rispondere alla tua risposta in un ciclo vizioso. Non odiarmi, ma credo sia giusto chiarire alcuni piccoli ma fondamentali punti con attenzione e ordine.

Partirò dalla fondamentale questione della presenza del segno personale del curatore all’interno delle esposizioni. Non posso ovviamente non concordare con la tua seguente affermazione: “Nessun curatore realizza mostre senza metterci il suo sguardo personale”. Vero. Sono però obbligato a farti notare che esiste una considerevole differenza tra una firma personale del curatore all’interno degli schemi metodologici della storia dell’arte e le personalissime (a volte, spesso, addirittura erronee) elucubrazioni mentali di un laureato in materia che non ha operato nessuna ricerca (e con ricerca non intendo la scoperta di un nuovo quadro o di una nuova interpretazione iconografica o iconologica, ma un semplice studio dell’esistente e dei già consolidati contenuti della materia). Diverso è operare delle scelte dettate dal gusto personale del curatore (cosa che peraltro deve essere necessariamente evitata in mostre dedicate all’arte antica e moderna) rispetto al raccogliere, in virtù di un percorso forzato o inesistente, opere in un’unica sede espositiva. In altre parole: un conto è far trasparire in piccolissima parte la propria personalità in un grande progetto e altro invece è mettere al centro di un progetto la propria personalità.

Il tuo paragone poi con il sistema curatoriale dell’arte contemporanea è a mio avviso piuttosto discutibile. Proprio il fatto che siano passati, come hai detto tu, solamente quarant’anni dalla mostra “Live in Your Head. When Attitudes Become Form (Works – Concepts – Processes – Situations – Information)” organizzata da Harald Szeemann nel 1969 presso la Kunsthalle di Berna ci dovrebbe portare ad allontanare il più possibile questo metodo espositivo dall’arte storicizzata del mondo moderno (ovviamente ben diverso dal contemporaneo).
Nella mostra di Berna il pubblico era chiamato in causa e non poteva più limitarsi ad una contemplazione passiva. Era, ed è, il pubblico il destinatario di opere basate sulla presentazione (e non più rappresentazione, come sono quelle scelte da Goldin) di processi di idee e materiali, con cui gli artisti tentavano di trasferire nel pensiero di un altro la dinamica delle loro intuizioni.
Non si può applicare il metodo curatoriale dell’arte contemporanea (non ancora storicizzata e a volte addirittura non minimamente compresa) all’arte moderna! Vorrebbe dire, come accade con Goldin, realizzare mostre dove nulla è incasellato e letto nella giusta maniera, tradendo così i procedimenti metodologici che tanta fatica la storia dell’arte si è creata, ormai indispensabili per riuscire a comprendere le opere in relazione al proprio contesto sociale e storico. Se questo non avviene si tradisce l’arte stessa dandole, come nel caso di Vicenza, chiavi di lettura sbagliate, forzate e discutibili!
Si arriverebbe così alla discutibile e non certo bellissima Biennale di M.Gioni, dove la presenza curatoriale era così forte da annientare qualsiasi capacità critica del pubblico, con il pericolo però che, a subire questo processi di straniamento culturale di significato e trasformazione del contenuto, non siano le opere di artisti a noi contemporanei, ma quelle storiche e storicizzate in cui affondano le radici della nostra cultura. Potremmo poi commentare il fatto che Gioni, proprio concentrando la sua Biennale su scelte personali forti, abbia esposto principalmente autori morti dando maggior spazio alle idee e come disse Dorfles: “Le idee sono certo molto importanti, ma hanno ben poco a che fare con la Biennale. […] Se Biennale deve essere, deve esserlo biennale delle arti contemporanee. Se la pittura e la scultura sono scomparse tanto vale chiudere la Biennale”. Ma commentare Gioni non è il nostro compito.

Non sono poi minimamente d’accordo con quanto affermi circa l’assoluta mancanza di una personalità tra gli storici dell’arte modernisti e antichi, in grado di fare il salto di qualità e di passare dalla mostra di ricerca all’esposizione che parli all’animo dell’uomo contemporaneo. Non so quali mostre di arte antica e moderna tu abbia visitato ultimamente, ma gli esempi di curatori che hanno realizzato mostre e progetto museali capaci di parlare non solo all’uomo contemporaneo, ma addirittura alla nuove generazioni, si sprecano. Senza allontanarsi molto, sia cronologicamente che geograficamente, luminosi esempi di ciò sono la mostra “Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento” (Palazzo del Monte di Pietà,Padova, dal 2 febbraio al 19 maggio 2013) a cura di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Adolfo Tura, che ha avvicinato centinaia di migliaia di visitatori alla figura modernissima e anticipatrice del Cardinal Pietro Bembo (il tutto con un rigore scientifico memorabile), o ancora la mostra: “Paolo Veronese. L’illusione della realtà” a cura di Paola Marini e Bernard Aikema al palazzo della Gran Guardia di Verona.
E l’elenco potrebbe proseguire: Cima a Conegliano, Andrea Brutustolon a Belluno, Pasqualino Rossi a Serra San Quirico, Bernardino Luini a Milano, Piranesi alla Fondazione Cini, etc etc. Tutte mostre con una curatela scientifica di grande spessore e contemporaneamente successo di pubblico, nonostante campagne mediatiche low profile e sopratutto low cost, per un periodo di apertura dimezzato rispetto a quello di Goldin. Tutti i curatori che ti ho citato, in particolare modo Beltramini e Paola Marini, sono riusciti a parlare al grande pubblico CONTEMPORANEO di grandi artisti e grandi scuole, emozionando nell’unico vero modo possibile ovvero attraverso la conoscenza e l’arricchimento personale.

Per la polemica dei professori mi dispiace dirti che forse non hai letto bene la lettera dei professori del Liceo Pigafetta, i quali non hanno impedito agli studenti di visitare l’esposizione, ma hanno saggiamente scelto di non accompagnarli in orario scolastico non considerando la mostra una vera operazione culturale. Si sarebbe forse potuto portare i ragazzi lo stesso, facendogli capire con i loro propri occhi quali sono le mostre da NON visitare, se si fosse permesso ai professori di storia dell’arte delle singole classi di guidare gli studenti nelle sale. Ma come ben sai, la ferrea organizzazione goldiniana, lo vieta. E buona pace alla libertà di critica!

Per concludere approfondirò la tua imperterrita, e per me assurda, difesa degli introiti economici di Linea d’Ombra. Per spiegarmi userò la triste (permettimi di dirlo) similitudine che mi hai proposto: quella del fruttivendolo.
Per prima cosa bisogna mettere in chiaro che Goldin non si è inventato nessun mestiere. Già prima del suo sciagurato arrivo sulle scene commerciali italiane esistevano aziende private organizzatrici di eventi espositivi che portavano ovviamente introiti ai legittimi proprietari. Tralasciando la questione morale sul come queste mostre fossero organizzate, personalmente non vedevo (e non vedo) nulla di male in ciò, specie poi se alcune di queste mostre erano anche di un discreto livello scientifico. Goldin ha operato però una trasformazione connessa alla necessitante crescita di introiti personali. Il commerciate trevigiano ha eliminato qualsiasi costo di ricerca e collaborazione, inserendo a capo di tutto la sua sola persona. Anche in questo nulla di male, anche se particolarmente discutibile. Ma ora arriva il bello e per spiegarmi meglio userò, come ho già scritto, la tua similitudine.

Caterina ha aperto un negozio di frutta e verdura (la basilica palladiana nel nostro caso) e un bel giorno Marco Goldin si presenta sulla porta con la proposta di prendere in gestione il suo negozio per organizzare la più bella esposizione (a pagamento) di frutta e verdure che il mondo ortofrutticolo abbia mai visto, tanto bella da far concorrenza alla Coop, Despar, Cadoro, Pam e Conad messe insieme. A Caterina promette di tutto: frutta cinese e nigeriana dai colori stupendi e alternativi, profumi e odori russi e americani dei più particolari, coste italiane e barbabietole svedesi delle più verdi e buone, colonne tortili di banane ecuadoriane e enormi cataste di fragole sudafricane. Marco Goldin assicura inoltre una consistente pubblicità ed un consistente ritorno di pubblico. La giovane e felice Caterina è effettivamente (come in fondo lo saremmo tutti) abbagliata dal progetto del furbo mercante trevigiano, ma vorrebbe giustamente capire, in tutto questo tripudio di ortofrutta, cosa ci guadagnerebbe Lei, attuale gestore del negozio, ma soprattutto il senso di questa cosa. Goldin risponde con una chiarezza senza eguali: Caterina ci guadagnerebbe SOLO il rispetto degli altri commercianti, ma le spese di gestione del personale che cambierà la frutta marcia nei sei mesi di esposizione saranno a carico suo. Sempre a carico suo saranno le bollette di luce, gas e acqua. A carico suo pure il controllo della sala (qualche vecchia che mangia o palpa la frutta c’è sempre) e il restauro degli spazi. A carico suo anche la pulizia dei percorsi e i costi del personale di biglietteria che però sceglierà Marco. Dal canto suo Marco incasserà tutti i soldi dei biglietti e non pagherà l’affitto del negozio, come nemmeno quello dello smontaggio dei supporti espostivi, ma chiederà a Caterina di pagarlo profumatamente per tutto il suo lavoro, ma sopratutto chiederà, sempre a Catarina, un piccolo aiuto finanziario per aiutarlo a portare i frutti e le verdure da tutto il mondo.
Ora tutti sanno quello che farà Caterina che ha aperto il suo negozio per portare a casa un po di “schei” come si dice dalle sue parti. Ora Caterina prenderà la scopa nel retrobottega e caccierà in malo modo Marco Goldin che crede di poter guadagnare con il suo antico e prezioso negozio (costruito addirittura da Andrea Palladio) a scapito suo. Negozio antico e prezioso solamente in gestione a Caterina, ma di proprietà di un mio amico che si chiama Popolo. Ma invece Caterina che fa? ACCETTA e senza farsi vedere dal mio amico Popolo (proprietario dell’immobile) firma un patto vincolante con Marco, lo paga per il lavoro che farà e lo aiuta pure con gli ultimi soldi del fondocassa (che il mio amico Popolo aveva raccolto con tanta fatica e sudore).

Come finisce questa storia? Marco organizzerà la grande mostra ortofrutticola dove venderà, a caro prezzo, anche tanti oggetti collegati alla frutta e verdura: carta igenica all’arancia, spazzolini per denti al sapore di banana, preservativi gusto pesca, spazzolini da gabinetto alle verdure marocchine etc etc. Caterina non guadagnerà nulla economicamente e nemmeno la stima degli altri commercianti che considereranno giustamente poco seria l’esposizione di pesche cinesi e radicchi islandesi (in provincia di Vicenza dove il radicchio è di casa) e il mio amico Popolo, quando dovrà riparare il tetto, non troverà più i soldi del fondocassa. Marco invece lascerà il negozio costruito da Andrea Palladio e con tutti i soldi dei biglietti andrà da un altro negoziante a proporre una nuova mostra.

Ora i miei (ipotetici) nipotini che ascoltano questa brutta favola, direbbero ovviamente che Caterina è davvero poco attenta, quasi sciocca, ma non si esimerebbero nemmeno dal dire che Marco è un individuo poco onesto. Ovvio anche questo. Se i miei nipotini fossero normali poi, come gli altri si coprirebbero con le coperte e andrebbero a dormire. Invece loro continuano a pensare al mio amico Popolo, proprietario del negozio, che ha perso tanti soldi e non ci ha guadagnato nulla e pensando pensando arrivano a chiedersi: perché Caterina ha accettato? Chissà.

Spero di essermi fatto capire. A me la storia di Caterina, Marco e Popolo ha suscitato qualche dubbio e un po di orrore. Proprio quello che hai detto di non capire e che spero adesso ti sia piú chiaro. Tutti i laureati in ortofrutta non hanno lavorato o guadagnato. Mi sembra ricordi un po quello che è successo a Vicenza. Unica differenza è che Caterina si chiamava Comune e i soldi del fondocassa erano quelli della Fondazione Cassa di Risparmio. Quante similitudini eh? Davvero una storia triste.

Grazie per la tua risposta.
a PRESTO


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